Si è conclusa un’altra edizione del Festival di Sanremo e ho la sensazione che anche questa volta si sia persa una vera occasione: quella di aprirsi ad altro, all’altrə. E di farlo con gioia, curiosità e leggerezza.

Se dovessi chiedermi qual è il senso di tutta questa baraonda mediatica, e dovessi parlarne ai miei allievi e alle mie allieve, innanzitutto direi che è una grande festa! E se vogliamo che una festa riesca bene, sappiamo tuttə che ci vuole tanto, tantissimo lavoro. Bene – questo lavoro va rispettato. Possiamo scherzarci su, certamente, ma non denigrarlo, non sottovalutarlo, non sminuirlo a “cosucce”: sarebbe un punto di vista miope che non ci meritiamo.

Ad una grande festa, è importante che tutto sia perfetto? Sinceramente, non credo. E quindi mi estenuano le polemiche, le critiche, le “lezioncine da social” su questo e su quello. E mi affatica anche questo ossessivo mettersi in cattedra, e dar pagelle. Questo “far battute al limite” per strappare un like, pur di farne parte in qualche modo (che è quello sbagliato, però).

Cosa mi sono goduta quindi di questo Festival? Innanzitutto, la scoperta. L’acquisizione alla mia conoscenza di nuovi cantanti e di stili a me poco vicini, l’interesse sincero nel vedere che c’è un mondo oltre al mio mondo, e gioirne! Guai ad arroccarsi solo sulle proprie convinzioni, non fa bene né a sé stessi, né all’arte.

E poi, l’osservazione, e l’ascolto. Ho lottato con mio desiderio superficiale di scremare subito tra questo e quello e mi sono presa il tempo di ascoltare. E ho osservato: i volti, i gesti, i movimenti. E ho patito, e mi sono emozionata, e ho trattenuto il fiato. Come cantante, ho empatizzato con ogni leggera tremarella, con ogni nota imprecisa, con ogni parola mal articolata. Ho imparato qualcosa da tutti e tutte, su come si portano le frasi, su come ci si muove sul palco… Bisognerebbe fare tesoro di ben cinque, lunghe serate in tv, in condivisione diretta con la quasi totalità del Paese, dove possiamo studiare cosa fanno musicisti, cantanti, direttori d’orchestra! Ho riletto i testi che mi sono sfuggiti, ho recuperato artisti ai quali, per stanchezza, non sono riuscita a dedicare tempo. Ho compreso e ho affinato il mio gusto, incorporando altro, com-prendendo altro.

Ho sofferto e sono stata delusa, molto. Dai fischi, dalle polemiche, dalle parole usate male, da una generazione di adulti che non ha la capacità di essere modello e che non si prende cura degli altri. Ho ammirato il coraggio dei ventenni, molto più coraggiosi sul palco, e sicuramente anche nella vita, di quanto non lo sia stata io alla loro età. E li ho ammirati, con gli occhi lucidi, mentre hanno parlato di pace, rispetto, amore di sé, salute mentale – sempre misurati ed eleganti. Dicono forte – senza urlare, questi ragazzi e queste ragazze.

Al netto di tutto, credo che il desiderio che accomuni tutti gli artisti e le artiste su qualsiasi palco del mondo, sia quello di condividere con gli altri il proprio sentire, il proprio pensiero. E che il desiderio che accomuni tutti i pubblici del mondo sia quello di provare un’emozione, volare alto e oltre, e a volte, anche, trovarsi rispecchiati nella voce di qualcun’altrə. Davvero tutto questo non ci basta?


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